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LA JIHAD SESSUALE DI GENERE

L’attuale jihad (la guerra santa islamica), vissuta come un dovere religioso da alcuni musulmani, è stata analizzata principalmente come forma di violenza terroristica dovuta a fattori interni (mancanza di democrazia, esclusione sociale ed economica, ecc.) ed esterni (ingiustizia internazionale, umiliazione dei musulmani, ecc.). Questo articolo si ripropone di mostrare che la jihad ha anche una componente sessuale e può assumere modalità sessuali, dimostrando in che misura anche la privazione sessuale sia un fattore che ha un suo ruolo preciso nella formazione della personalità jihadista. Allo stesso modo, la jihad è anche sessuale nella misura in cui uomini e donne si impegnano in una guerra sessuale sensu stricto. Quali sono dunque le forme di questa “jihad sessuale” che varia in funzione al genere?

L’emigrazione verticale degli uomini verso le ninfe del paradiso

A titolo di esempio, il profilo dei terroristi suicidi a Casablanca il 16 maggio 2003, tutti provenienti da una baraccopoli, ha mostrato che questi giovani soffrivano anche di privazione sessuale, vuoi per mancanza di partner, vuoi per mancanza di spazi adeguati per un’attività sessuale gratificante (Dialmy, 2005). In precedenza, la correlazione tra islamismo e insoddisfazione sessuale per mancanza di spazi adeguati era già stata descritta (Dialmy, 1995). Questa privazione sessuale porta alcuni giovani musulmani a dubitare della loro virilità, perché essere maschi non basta per potersi definire uomini. Dal punto di vista patriarcale, che è il loro punto di vista, essere un uomo significa conquistare le donne, sposarsi, mantenere mogli e figli, dominandoli; ma questi giovani non sono in grado di farlo per ragioni socioeconomiche. Questa frustrazione sessuale li predispone a rinunciare alla vita, a emigrare verso Dio, verso un paradiso molto seducente, pieno di houris, vergini ninfe a completa disposizione per il loro piacere. Prima di separarsi per andare ad uccidere facendosi saltare in aria, queste bombe umane si danno appuntamento in paradiso, sicuri di essere dei martiri che saranno ricompensati da Allah.

L’emigrazione orizzontale degli uomini verso le donne dello Stato islamico

Dal 2014, i giovani musulmani radicalizzati hanno un’altra possibilità di soddisfazione sessuale, questa volta qui in terra, grazie all’emigrazione nei territori dello Stato islamico, dove viene proposta loro una “generosa” offerta sessuale. Inizialmente, molte donne Yezidi sono state ridotte in schiavitù e consegnate ai combattenti iracheni come compenso per la loro partecipazione alla guerra santa contro gli infedeli (Otten, 2017). Successivamente, le donne sono state trasportate in carceri e in campi militari dove sono state rinchiuse, picchiate, vendute o offerte ai soldati di Dio provenienti da altri paesi per difendere ed estendere lo Stato islamico. Per i combattenti, prendere sessualmente queste donne con la violenza non è uno stupro. Al contrario, è considerato un diritto, addirittura un atto legale, poiché sono considerate un bottino della guerra santa. Un detto (hadith) del profeta Maometto specifica il momento in cui tali donne possono essere forzate ad un rapporto sessuale: se la prigioniera (o la schiava) è incinta, bisognerà aspettare fino al momento del parto; se invece non lo è, basterà attendere le sue prime mestruazioni dopo la messa in schiavitù per verificare che non sia già incinta. Questo hadith non fa che confermare la legittimità coranica del sesso con gli schiavi: “…coloro che riservano il proprio sesso per le proprie mogli e per le schiave che con la loro mano destra posseggono non sono da biasimare. Mentre quelli che cercano qualcos’altro oltre a ciò, costoro sono i veri trasgressori” (Corano, 23: 5-7).
Questi due testi sacri, ripresi dalla propaganda dello Stato islamico nella rivista Dabiq (Dabiq, 2014/2015), sostengono che l’atto sessuale con le prigioniere ridotte in schiavitù è legale anche se imposto contro la loro volontà. Inoltre, costituisce parte della jihad ed è un dovere religioso che il moujahid deve adempiere, Uno stupro legale che simboleggia una ulteriore espansione dello Stato islamico poiché, al di là del piacere del soldato di Allah, unirsi alle schiave è anche un modo di fecondarle affinché mettano al mondo bambini musulmani che andranno poi a ingrossare i ranghi dello Stato islamico e che a loro volta diventeranno mujaheddin, soldati di Allah (Dabiq). È anche un modo per convertire le donne Yezidi all’islam . Inoltre, per il nascente Stato islamico in espansione, le donne sono un prezioso oggetto sessuale che viene utilizzato per reclutare, trattenere e mobilitare i soldati di Dio. In effetti, questa legalizzazione dello stupro da parte della teologia islamica di genere, ripresa e radicalizzata da Daesh, è stata un mezzo per attirare i giovani musulmani che vivono in paesi islamici dove la sessualità prematrimoniale è haram, considerata fornicazione (zina).

Oltre ad aver ridotto in schiavitù le donne Yezidi, l’Isis ha distribuito volantini in cui si chiede alle donne musulmane non sposate di unirsi al jihad per lavare i loro peccati offrendosi ai mujaheddin. Secondo lo stesso volantino, quelle che rifiutano violano la volontà divina e per questo saranno picchiate o uccise. Pur non essendo una forma di schiavitù in senso stretto, questa partecipazione delle donne è forzata, imposta sotto minaccia e discende dalla “teologia dello stupro”.

La migrazione orizzontale delle donne verso gli uomini dello Stato islamico

Le altre donne presenti nello Stato islamico lo sono volontariamente, per libera scelta. Effettivamente molte giovani hanno deciso di offrire un “servizio sessuale” volontario ai soldati di Allah.
All’origine di questa presenza jihadista femminile volontaria, una fatwa intitolata Jihad al-Nikah, che si potrebbe tradurre: guerra santa attraverso il coito e/o il matrimonio. L’etimologia del termine nikah rimanda al coito, mentre il suo significato terminologico si riferisce al matrimonio. Questa fatwa, apparsa nel 2013, è attribuita a Mohammed El Arif, un teologo saudita wahhabita (che lo ha poi rinnegato): chiede alle donne sunnite di andare in Siria per tenere alto il morale dei mujaheddin che combattono contro il regime di Bashar al-Assad. Si basa sul principio legale (della legge islamica) che (in alcune circostanze eccezionali) “la necessità giustifica la trasgressione dei divieti”, quello di fornicazione nel caso di specie.

Questa fatwa è stata sfruttata dall’Isis per costringere le giovani donne musulmane ad avere rapporti sessuali con i combattenti, e più volte con diversi guerrieri. Ecco dunque una delle definizioni della jihad femminile: la jihad femminile è sessuale. In questo contesto, allo Stato islamico si sono unite giovani donne provenienti sia da paesi non musulmani (come Gran Bretagna, Francia, Australia, ecc.) sia da paesi islamici come la Malesia e la Tunisia (Shi-Ian, 2014).

Per la ragazza jihadista, convertita all’islam o proveniente da una famiglia agnostica o atea, il jihadista dello Stato islamico (in Siria e in Iraq) rappresenta il marito ideale. Secondo la retorica dell’Isis è il vero uomo per eccellenza, che sfida la morte, coraggioso e virile, onesto, sincero, che ispira fiducia e soddisfa il bisogno di autorità avvertito dalle donneIn questa prospettiva vengono respinti sia l’egualitarismo femminista che la lotta al dominio maschile.
Accettando la jihad sessuale la donna jihadista si assoggetta a una servitù (sessuale) volontaria che dà senso alla vita, un senso sacro, divino, che fa loro accettare la “buona disuguaglianza” tra i sessi, secondo la definizione di Farhad Khosrokhavar (2016). Una disuguaglianza di diritto basata sulla differenza tra sesso e genere: “gli uomini sono superiori alle donne” (Corano, II, 228). Una differenza che permette alla donna di stare a casa, “tranquilla”, per occuparsi esclusivamente di suo marito e dei suoi figli, non avendo il dovere di guadagnarsi da vivere. Secondo la legge musulmana, è responsabilità del marito prendersi cura di sua moglie finanziariamente. In cambio, lei gli deve la sua obbedienza (Corano, 4:34) e deve essere pudica, mostrando la sua bellezza solo a suo marito (Corano, 24: 31).
Le donne jihadiste sono altresì attratte dalla violenza (guerriera) dello Stato islamico e dei suoi uomini. Una violenza non solo virile ma anche nobile, messa al servizio di una guerra giusta e antimperialista contro le ingiustizie perpetrate nei confronti dei paesi musulmani e dei musulmani.Da parte loro, le jihadiste sessuali di origine musulmana rispondono risolutamente alla loro convinzione ideologica (che predica la difesa dell’Islam in risposta all’oppressione) per unirsi alla jihad e mettersi al servizio sessuale dei jihadisti maschi. Ma possiamo anche avanzare l’ipotesi, corroborata dai profili di numerose jihadiste, che, come nel caso degli uomini, anche le donne fuggano, trovando così una “soluzione” alla privazione sessuale in cui vivono nei loro paesi di provenienza. Impossibilitate a sposarsi per motivi socioeconomici, non potendo avere una vita sessuale prematrimoniale soddisfacente, migrano verso lo Stato islamico in cerca, tra l’altro, di gratificazione anche in questo ambito della sfera personale. “Queste giovani provengono in gran parte dai quartieri popolari delle periferie delle grandi città, dove vengono reclutate da associazioni pseudo caritatevoli o presumibilmente religiose del movimento islamista, per andare a soddisfare le pulsioni sessuali dei jihadisti in Siria”, ha dichiarato al sito web di Assabahnews l’avvocato Badis Koubakji, presidente dell’Associazione per il soccorso dei tunisini all’estero (Olivier, 2013).

Analisi

Certamente, il fattore sessuale non è il solo messo in gioco nell’emigrazione (hijrah) verso lo Stato islamico, né da parte degli emigranti né da quella dello stesso Stato islamico. A queste giovani donne, la propaganda portata avanti dall’Isis e dalle sue reclutatrici descrive l’emigrazione verso lo Stato islamico come un dovere religioso, che comporta la scomunica del loro paese di origine, dichiarato un paese di empietà (Kufr), per poi andare a vivere nello Stato islamico, l’unico che applica la Shari’a alla lettera, e perciò l’unico stato legale, in quanto conforme al sistema politico islamico del Califfato. In questo contesto, le jihadiste sessuali vengono principalmente sollecitate come “contributrici” della fortificazione dello Stato islamico, grazie alla loro identità femminile musulmana.

Compiendo il loro sacro dovere di migranti verso lo Stato islamico, queste “collaboratrici” risolverebbero le loro crisi personali (comprese quelle sessuali) causate dall’appartenenza all’Occidente o a paesi pseudoislamici occidentalizzati (Dabiq, 15). Contribuirebbero così all’utopia islamista come mogli, madri e sorelle, al cuore di una sorellanza islamica meta-familiare, meta-tribale e meta-nazionale. Attraverso questi archetipi femminili positivi, lo Stato islamico afferma di salvare le donne, vittime dell’Occidente e da esso corrotte (Kiriloi M. Ingram, 2016). Esaltandone il ruolo all’estremo, le descrive come la sua ultima linea di difesa. Rispondendo alla chiamata di Daesh, queste giovani donne si assicurano un posto in paradiso, sia come jihadiste sessuali sia come vedove dei martiri della fede. Emigrare verso lo Stato islamico costituirebbe per queste donne anche un nuovo inizio di vita (Bakker e Leede, 2015), una vera e propria rinascita, un’entrata in una dimensione sacra nel senso buono del termine, quello di una rivoluzione destinata a cambiare l’ordine mondiale. Più prosaicamente, convertirsi all’islam per poi radicalizzarsi ed entrare nella jihad sessuale islamista equivale all’entrata in un nuovo mondo, per vivere un’avventura che scongiura la routine, le frivolezze, la noia e le assurdità della vita.È grazie a questi diversi ruoli proposti alle giovani donne che lo Stato islamico riesce a persuaderle e a convincerle ad emigrare, e le seduce affinché si lascino tutto alle spalle.
Uno Stato islamico senza donne è inconcepibile!

Conclusione

L’implicazione della dimensione sessuale nella jihad radicale islamista non comporta necessariamente la riduzione della jihad femminile a un fattore sessuale (legato alla frustrazione) e/o a una funzione sessuale (di sfogo). La convinzione ideologica c’è, è molto presente e molto pesante. Questa convinzione descrive la jihad come un’esperienza straordinaria, che trasforma la jihadista sessuale in una donna esemplare, un’eroina la cui vita diventa degna di essere vissuta. Tuttavia, si può ragionevolmente supporre che la credenza religiosa sia solo un velo sacro che nasconde il peso del fattore e della funzione sessuale come motori dell’hijra verso lo Stato islamico. Si può anche presumere che il servizio sessuale jihadista femminile sia solo un effetto collaterale della convinzione jihadista fondamentalista. Nessuna delle due ipotesi può essere esclusa. La conclusione più semplice è affermare l’esistenza di una correlazione tra la convinzione islamista jihadista e l’impegno sessuale jihadista femminile.

Il vantaggio euristico dell’ipotesi sessuale ai fini della comprensione del jihadismo è che questa permette di ritrovare in forma più cruda e crudele la costruzione islamica delle relazioni di genere. In effetti, la migrazione verticale verso il cielo (quella dell’azione jihado-terroristica) viene ricercata dagli uomini a causa delle ninfe che li attendono in paradiso. Questo non è il caso delle donne musulmane. Tra queste, la minoranza che andrà in paradiso farà parte dell’harem celeste dell’ultimo marito. Per le donne musulmane, il paradiso islamico non è un paradiso sessuale, non esiste l’equivalente maschile delle ninfe. Anche i giovani efebi del paradiso saranno al servizio degli uomini. Il paradiso è quindi un paradiso sessuale solo per gli uomini. Per le jihadiste sessuali, quindi, il paradiso sessuale va vissuto qui in terra, all’interno dello Stato islamico, il solo che permette loro uno sfogo sessuale gratificante. Ma questo sfogo è ben lungi dal liberare la donna, dal momento che la sua jihad sessuale continua, consolida e radicalizza i privilegi sessuali maschili: il diritto esclusivo dell’uomo di “schiavizzare” e imporre il coito alle donne pagane, o quello di sposare donne cristiane o ebree, e alla poligamia. Tutto questo in aggiunta ad altri privilegi non sessuali, altri segni del loro sacro dominio. Pertanto, il jihadismo è attualmente l’espressione suprema della santificazione islamica del patriarcato.

22 MARZO 2019  DIALMY ABDESSAMAD

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